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Bitcoin è un nome che è stato ripetuto molte e molte volte lungo il corso di questi mesi. La celebre criptovaluta ha guadagnato la sua fama per essere una moneta virtuale, senza un corrispondente materiale quindi, che dal 2009 ha lasciato spesso il mondo a bocca a perta per i suoi alti e bassi di prezzo, anche detta elevata fluttuazione di valore.
Esiste però una questione legata alla criptomoneta che sembra passare fin troppo in secondo piano: il suo impatto energetico.
Questo dato, agli albori del sistema poteva anche essere tralasciato vista la sua minima diffusione. Ma ad inizio 2018, quando bitcoin è sulla bocca di tutti, i numeri hanno raggiunto valori preoccupanti. Tanto da raggiungere il consumo di intere nazioni.
Prima di parlare dell’elevata richiesta energetica del sistema, è utile chiarire come mai i bitcoin, come molte altre criptovalute, richieda energia per funzionare.
Non è necessario essere informatici per comprenderne il procedimento:
Perciò con “energia per un bitcoin” si intende la quantità di energia consumata per approvare una blocco di transazioni e di conseguenza per creare altri bitcoin (sempre meno).
Questi dati sono stati forniti da Digiconomist e mostrano il raffronto tra l’energia consumata da un singolo bitcoin rispetto al circuito Visa. Come si può vedere, una sola transazione della valuta digitale richiede 3 volte l’energia necessaria per 100 mila transazioni con Visa.
Nonostante per i dati Visa non sia stato tenuto conto dell’energia consumata dagli uffici/banche fisiche, ma solo di quella delle transazioni, il dato resta impressionante.
Nigeria , Danimarca, Islanda e Marocco sono solo alcuni esempi di stati che consumano la stessa energia giornaliera richiesta dal sistema Bitcoin.
Oppure, come dichiarato dalla società Morgan Stanley:
“l’energia consumata per ottenere un nuovo bitcoin è pari a quella usata in due anni da una famiglia americana media”
L’impatto energetico è perciò davvero alto. E la notizia che fa più preoccupare è che questo è in continua crescita, dovuto al fatto che ogni giorno ne vengono “coniati” di nuovi.
Come bitcoin inoltre, ne esistono migliaia. Ethereum e Ripple sono le due criptovalute più importanti dopo la loro regina e anche per loro è richiesta una continua fornitura di elettricità per garantire il funzionamento del sistema.
A primo impatto questi dati possono creare paura e preoccupazione. Tanta richiesta energetica equivale a un largo utilizzo di combustibili fossili e quindi aumento dell’inquinamento.
Tuttavia c’è chi prende anche le difese delle monete virtuali, come Marc Bevand, esperto di criptovalute, che nel 2016 ha scritto:
«considerare uno spreco energetico quello per le criptovalute vuol dire non riuscire a guardare il quadro complessivo delle cose»
Con questo intende che il bisogno energetico è solo una parte del grande sistema che gli gira intorno. Come un grande centro commerciale che richiede molta energia per poter garantire centinaia di servizi utili ai cittadini.
Vi è poi da considerare che ogni valuta corrente, quindi sia fisica che digitale, ha elevati costi derivati in termini di elettricità e impatto ambientale che vanno ben oltre il costo delle transazioni, come quelli per:
Perciò nella grande analisi energetita è da calcolare che anche i “classici” soldi sono tutt’altro che eco-sostenibili.
In ogni caso la questione sulle criptovalute rimane ancora aperta, in attesa della risposta alla grande domanda: in futuro saranno sostenibili?
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