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La tecnologia che (forse) rivoluzionerà internet per sempre
Per parlare di blockchain vogliamo iniziare dalla fine del 2021, quando Crypto.com ha dato il suo nome ad uno dei più grandi stadi del mondo con un contratto di 20 anni e dal valore inestimabile di 700 milioni di dollari. Ma quest’azienda solo 5 anni prima non era giunta all’orecchio di nessuno, perché ancora non esisteva. In poco tempo ha vissuto una crescita talmente esponenziale da rendere imprescindibile comprendere cosa stia succedendo nel mondo delle criptovalute, della tecnologia e più in generale dell’economia, perché ne siamo parte attiva quotidianamente.
Alcuni potrebbero aver sentito il bisogno di approfondire questo mondo già nel 2018 quando Bitcoin, la criptovaluta della prima è più famosa blockchain mai esistita ha raggiunto un valore di picco di oltre 16.000$. Valore che in quei giorni sembrava incredibilmente inflazionato, eppure oggi quella stessa moneta digitale vale quasi tre volte tanto e ha raggiunto un picco di oltre 60.000$.
Da allora abbiamo sentito tutti parlare della blockchain in un modo o nell’altro. Magari ci siamo avvicinati al mondo del trading di Bitcoin, Ethereum, Dogecoin e chi più ne ha più ne metta. O forse abbiamo sentito parlare di NFT e della proprietà digitale. Oggi in particolare si sente sempre di più parlare di Metaverso e anche in questo caso la blockchain sarà una componente fondamentale di questa nuova frontiera di internet. Ma si tratta a dire il vero di una sua componente ancora più fondamentale e radicata. Promette di riportare il “potere” nelle mani degli individui strappandolo alle mega corporazioni che oggi governano il mondo, o quantomeno quello digitale in cui tutti siamo immersi.
Ma per capire la blockchain è prima di tutto importante capire le banche e le carte di credito, perché questo mondo è strettamente legato a quello finanziario. Andiamo però per gradi. Per quanto ci piace l’idea di semplificare un argomento, quello delle blockchain è particolarmente complesso.
Cosa fanno le banche
Le banche, quelle misteriose e potenti realtà che tutti amiamo in realtà rendono possibile il mondo per come lo conosciamo. Oggi tutti possiamo comprare ciò che ci serve per vivere o ciò che ci interessa per appagare i nostri desideri.
Per farlo ogni banca tiene un registro completo di tutte le transazioni di tutti i suoi clienti. Al suo interno basta sommare tutte le entrate e le uscite per conoscere il saldo di ciascun conto corrente.
Immagina di voler comprare una pizza per 10€. Per farla semplice quello che succede è che la banca del venditore manda una richiesta alla tua banca di 10€ e la tua banca controlla tutte le tue transazioni per verificare il saldo risultante. Se è superiore a 10€ autorizza la transazione e la comunica alla banca del venditore. A questo punto entrambe aggiungono questa nuova transazione all’elenco:
- -10€ per te
- +10€ per il venditore
Ovviamente se il tuo saldo è inferiore a 10€ la transazione verrà rifiutata e non succederà nulla di più.
Il problema delle banche
Questa cosa è ovviamente di fondamentale importanza per tutti e rinunciarvi significherebbe tuffarci in un mare ghiacciato di anarchia con dei grandi passi indietro per la società e l’evoluzione umana. Perché le banche per prime hanno inventato il credito su cui si è fondata e si fonda tutt’ora la crescita dell’economia, del benessere e della qualità della vita nel mondo.
Il problema però è che tutti noi, volenti o nolenti, dobbiamo fidarci delle banche: che sia dei loro algoritmi, della loro sicurezza, nonché della loro gestione economica.
Infatti per dare credito le banche usano un intelligente stratagemma. Raccolgono i soldi delle persone mettendoli al sicuro, ma una volta accumulate immense fortune non le lasciano lì ferme come una cassaforte. Al contrario ne reinvestono una fetta consistente pari al 90%, tenendosi il 10% di liquidità per chi vuole prelevare.
Quel 90% viene quindi prestato, investito in borsa o in altri modi per ammortizzare i rischi e generare profitti. Sappiamo bene però che la crisi è sempre dietro l’angolo e gli investimenti miliardari di una banca possono risultare in perdite altrettanto importanti. Ne abbiamo avuti parecchi esempi nella storia.
Inoltre per quanto la sicurezza delle banche sia forte esiste da qualche parte nel mondo un hacker di 16 anni che dalla sua cameretta è in grado di penetrarle per modificare l’elenco delle transazioni di cui tutti ci fidiamo, o peggio.
L’idea della blockchain
Da qui è nata spontanea una domanda: e se ci fosse un modo di gestire questo elenco di transazioni senza bisogno di un intermediario vulnerabile e di cui fidarsi?
Basterebbe mettere questo elenco di transazioni online, rendendolo pubblico.
Bisognerebbe dare la possibilità a chiunque di controllare i saldi per autorizzare o rifiutare le transazioni, e sicuramente in cambio di una commissione molte persone si faranno avanti.
Se però prima ci fidavamo delle banche per mantenere inalterato l’elenco delle transazioni, come si fa a renderlo immutabile e in-hackerabile ora che è accessibile a tutti?
La soluzione che ha adottato l’inventore di Bitcoin, la prima blockchain mai creata, è stata talmente elegante da essere poi utilizzata per quasi tutte le future blockchain e coinvolge la crittografia.
Il modo più semplice per spiegarlo è che ogni transazione è legata a quella successiva, quindi per cambiarne una bisognerebbe cambiarle tutte e questo risulta un compito talmente complicato per i computer tradizionali che ne servirebbe uno grande quanto l’intero sistema solare (math magic).
Se vuoi approfondire qui sotto spieghiamo più nel dettaglio come funziona, ma puoi anche andare direttamente al paragrafo successivo se non ti interessa.
Come funziona la blockchain
La crittografia permette di trasformare qualcosa in qualcos’altro rendendolo irriconoscibile e apparentemente casuale, ma in realtà non casuale affatto. Questo accade facendo passare un contenuto attraverso una funzione il cui compito è confondere le acque. A parità di contenuto iniziale infatti, ad esempio un documento, si avrà sempre lo stesso contenuto crittografato. Cambiando però una virgola nel documento originale, il contenuto crittografato non avrà una piccola variazione ma sarà del tutto diverso.
Esistono moltissimi diversi algoritmi di crittografia ma quello più spesso usato nelle blockchain è lo sha256, inventato dall’Agenzia di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti NSA nel 2001, ed è particolarmente efficace in questo scopo. Traduce infatti qualsiasi contenuto digitale, da un semplice “abc” ad un intero film, in una breve stringa di 256 zeri e uno (0,1) o bit. Il vantaggio è che è molto “leggera” e non è possibile risalire al contenuto originale.
In pratica in una blockchain ogni 10 minuti circa viene creato un blocco di transazioni che vengono quindi compresse e crittografate in una stringa di 256 bit, ovvero 256 0 e 1 in sequenza. Questa stringa viene poi inserita all’inizio del blocco successivo. In questo modo si crea una catena di blocchi – appunto blockchain – indissolubilmente legati.
Per cambiare quindi una transazione nel passato, ad esempio per modificare il proprio saldo, bisognerebbe di conseguenza aggiornare la stringa di 256 bit generata da quel blocco. Sarebbe quindi necessario cambiare anche tutte le stringhe di tutti i blocchi successivi. La verità è che questo compito non è così difficile da risolvere.
La Proof Of Work
Se l’obiettivo è rendere impossibile questa modifica e mantenere l’elenco di transazioni inalterabile, è sufficiente inserire una complessità artificiale nella ricerca di quella stringa da 256 bit. Per farlo l’inventore di Bitcoin ha trovato una soluzione geniale: la stringa deve avere un certo numero di 0 iniziali. L’unico modo per raggiungere questo risultato è aggiungere al fondo del blocco di transazioni un valore specifico, un numero magico. Ma essendo questa stringa praticamente casuale bisogna andare per tentativi, un sacco di tentativi, milioni di tentativi.
La ricerca del numero magico è una delle principali attività svolta ogni giorno dai migliaia di computer dei Miner per ottenere in cambio una piccola ricompensa, sempre in criptovaluta, garantita dall’algoritmo che sta dietro a ciascuna blockchain. Questa è la Proof Of Work, ovvero la prova del lavoro , che rende impossibile la modifica dello storico di blocchi a meno di non avere un un milione di anni a disposizione, letteralmente.
Al contrario rimane semplicissimo verificare se un blocco è correttamente legato ad un altro. Inserendo il blocco di transazioni insieme al numero magico già identificato dentro sha256 avremo sempre lo stesso risultato che rispetta il numero minimo di zeri iniziali richiesti.
E se qualcuno volesse agire direttamente sull’ultimo blocco modificando una transazione al suo interno? Sarà la community di miner a rifiutare quel blocco perché tutti staranno cercando la soluzione ad un blocco differente. Anche qui c’è della matematica coinvolta, ma è ancora più complessa.
Ricapitolando quindi, grazie alla complessità artificiale necessaria a “chiudere” un blocco di transazioni e alla community distribuita che cerca questa soluzione per lo stesso blocco, violare questo sistema è semplicemente impossibile. Non si tratta di sicurezza informatica quanto di un mero calcolo di probabilità, talmente a sfavore di chi cerca di violare il sistema da renderlo del tutto inviolabile.
Il passo in avanti di Ethereum
Ethereum, nato dalla mente visionaria del giovanissimo Vitalik Buterin, fa un passo in più. Se di fatto ogni transazione si può considerare un contratto digitale in cui vengono scambiate delle criptovalute, perché non creare dei contratti digitali più aperti e flessibili che includano anche altro?
Da qui sono nati gli smart contract, che scritti sulla blockchain di Ethereum si possono avverare in automatico al verificarsi di determinate condizioni, a patto che siano verificabili digitalmente.
E se ci pensiamo bene questo è essenzialmente il funzionamento base di ogni programma di cui facciamo uso quotidianamente. Una serie di istruzioni che al verificarsi di determinate condizioni eseguono delle operazioni, tutte innestate l’una dentro l’altra per creare sistemi complessi.
- Clicco un pulsante su una tastiera e si vede un carattere sullo schermo.
- Clicco un icona col mouse e si apre una cartella.
- Se in un gioco sparo ad un avversario e viene colpito questo muore.
- Se condivido un post su instagram chi mi segue lo vedrà nel suo feed.
- Guardo un video su Youtube e i suoi creatori vengono remunerati con parte della spesa pubblicitaria generata dal loro canale.
- La macchina davanti frena e frena anche la mia macchina a guida autonoma.
- Una pala eolica genera elettricità e il computer comunica alla centrale l’energia raccolta.
E via via ogni sistema complesso sarà fatto di sempre più istruzioni.
Le DAO
Il sistema più complesso che si può realizzare in questo caso è una DAO: Decentralized Autonomous Organization. Più semplicemente un’organizzazione automatizzata e distribuita.
Invece di avere delle persone che scelgono cosa fare, tutto viene lasciato in mano a degli smart contract. Saranno loro a gestire tutte le operazioni dell’organizzazione. E quelle che non sono automatizzate sono distribuite nella rete tramite voto.
Il vantaggio in questo caso è che le operazioni sono pubbliche, così come le condizioni e il funzionamento interno del programma. Questo può dar vita a nuove forme di accordi e collaborazioni, e soprattutto superare l’ostacolo della fiducia.
Sempre di più sono ad esempio le DAO che sostituiscono i notai. Verificano le identità e controllano le formulazioni degli smart contract, che sono chiare, trasparenti e condivise dalle parti in questione. Se entrambi ci accordiamo per l’acquisto di una casa ci basta “scriverlo” nelle note di una transazione sulla blockchain e tutti potranno vedere che il venditore ha ceduto la proprietà all’acquirente. Innegabile.
Criptovalute e blockchain sono inseparabili
Se da una parte le blockchain promettono di rivoluzionare internet, dall’altra restano strettamente legate al loro aspetto finanziario.
Sempre parlando di Ethereum ad esempio, ogni operazione di uno smart contract ha bisogno di essere approvata come se fosse una transazione. Questo significa che più l’applicazione è complessa più costeranno le commissioni di tutte le transazioni necessaria a farla operare. Queste vengono chiamate gas fee, e sono infatti da considerare come la benzina all’interno di un motore ben oliato.
Potreste aver sentito parlare di blockchain private, gestite da una compagnia o da un gruppo di aziende, ma quelle sono pure baggianate. Avere una blockchain privata significa avere un sistema altamente inefficiente per natura, ma senza guadagnarci in sicurezza. Rimarrebbero infatti tutti i limiti di un database tradizionale, hackerabile e non distribuito.
Per essere però pubblico è necessario mantenere un incentivo per la community, e il più ovvio (se non l’unico) è quello economico. Ogni blockchain ha la sua criptovaluta, fondamentale per remunerare la community che tiene in piedi il sistema verificandone le transazioni. Ma dal momento che queste si configurano come valute, il loro valore sarà determinato dalla loro domanda e offerta come per ogni altra.
Da qui nasce quindi il trading delle criptovalute. Questo può avere però volatilità enormi, ovvero passare da valori molto bassi a valori molto alti e viceversa in pochissimo tempo. Il fenomeno è dovuto essenzialmente dal volume di transazioni, perché anche l’euro e il dollaro sono soggetti a questi cambiamenti, ma essendocene molti di più in circolazione ed essendo immersi in un sistema piuttosto stabile, le loro fluttuazioni sono tendenzialmente minime.
Il problema della blockchain
Ma la blockchain non è perfetta ed è presto detto: il prezzo della disintermediazione è energetico. Tutti questi computer che cercano una soluzione ad un problema crittografico complesso consumano un sacco di energia, e per ogni blockchain il problema si moltiplica.
Le banche al contrario sono più vulnerabili da attacchi informatici o interni, ma richiedono pochissima energia per gestire il loro registro di transazioni. Certo però le banche hanno bisogno di più edifici, che costano energia per essere costruiti e illuminati.
Abbiamo scritto un articolo sull’argomento per chi fosse interessato, e il risultato è meno scontato di quanto si pensi. Infatti la maggior parte delle mining farm dove le blockchain vengono gestite, sfruttano l’energia rinnovabile in eccesso degli stati che ne producono in abbondanza, e questa è sia la più economica che la più pulita per l’ambiente, ma nel futuro ancora non si sa come potrebbe cambiare questo scenario.
L’altro problema fondamentale è il numero di transazioni che una blockchain è in grado di gestire. Infatti proprio a causa della sua voluta inefficienza per aumentarne la sicurezza, la blockchain gestisce meno di un centesimo delle transazioni di una banca tradizionale. O più correttamente di un circuito di credito come Visa o Mastercard.
Questo però non le ferma dall’innovare, e chi lo sa che in futuro l’intelligenza umana non risolverà anche questi problemi.